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RUBRICA DELL’AVVOCATO DEL MARTEDI’_ LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE: CONDOTTE INCOMPATIBILI CON LO STATO DI MALATTIA

La Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con Ordinanza n. 12944/2023 ha affermato che: “Si configura una violazione degli specifici obblighi di diligenza e fedeltà oltre che dei doveri di buona fede e correttezza l’ipotesi in cui il lavoratore, durante il periodo di malattia tenga comportamenti che, per la loro natura, siano incompatibili con lo stato patologico accertato, tali da ritardare il rientro in servizio”.

Cosa s’intende condotte incompatibili con lo stato di malattia del lavoratore?

Lo stato di condotta incompatibile con lo stato di malattia del lavoratore si presenta, tutte quelle volte in cui, il lavoratore, durante lo “status” di malattia, continua a svolgere la propria attività lavorativa, incompatibile con la patologia accertata, che va a pregiudica e/o ritarda lo stato di guarigione. Difatti, la tematica delle condotte “extra-lavorative” che assume rilievo ai fini dell’integrazione della giusta causa di licenziamento, riguarda gli ambiti nei quali si esplica la personalità del lavoratore, dunque nella vita privata e pubblica. Tali comportamenti incidono sulla posizione lavorativa dello stesso lavoratore poiché va ad inclinare il grado di affidamento richiesto dal datore di lavoro, nella mansione assegnata e dal ruolo del dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale.

Secondo gli orientamenti giurisprudenziali maggioritari e recenti (Cass. n 8944/2023) con la quale si afferma che: “la fiducia che è fattore condizionante al permanenza del rapporto di lavoro, può essere compromessa, non solo in conseguenza di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extra-lavorative che, seppur tenute al di fuori dell’impresa o dell’ufficio e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, nondimeno possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia tra le parti.

A tal proposito la Corte di Cassazione si espressa, sulla lesione del rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente a seguito della violazione dello svolgimento di altra attività lavorativa durante lo stato di malattia, giustificandone il legittimo licenziamento per giusta causa. Difatti, gli Ermellino hanno affermato che: “il lavoratore che violi gli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede … anche nel caso in cui la stessa, valuta con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e della mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. n. 17652/2015; Cass. n. 10416/2017; Cass. n. 26496/2018). Continuano gli Ermellini nel ritenere che: “il peculiare rilievo dell’eventuale violazione del dovere di osservare tutte le cautele atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dall’infermità, affinché vengano ristabilite le condizioni di salute idonee per adempiere la prestazione principale cui si è obbligati …”.

Per cui il licenziamento del lavoratore per giusta causa è ravvisabile anche in relazione a fatti estranei all’obbligo contrattuale, purché vada ad incidere nel rapporto/vincolo di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente. Difatti, in presenza di comportamenti “extra-lavorativi” che vanno a ledere il vincolo fiduciario lavorativo, non derivante dal illecito disciplinare, si ravvisa una giusta causa di licenziamento di cui all’art. 2119 c.c., il quale si riferisce a quei comportamenti del lavatore che, seppur estranei agli obblighi contrattuali, incidono negativamente e risultano ineluttabili  al rapporto lavorativo stesso, poiché violano il rapporto di fiducia sul quale si fonda il contratto di lavoro.

Per cui il licenziamento per giusta causa, è legittimo allorquando l’attività lavorativa svolta a favore dei terzi, seppur compatibile con lo stato di malattia, sia retribuita o comunque compensata dal terzo, facendo venir meno i doveri di diligenza e fedeltà, di buona fede e correttezza cui il dipendente è tenuto.

In tal senso gli Ermellini con sent. n. 1472/2024 hanno affermato che: “lo svolgimento di un attività in pericolo di assenza dal lavoro per  malattia costituisce un illecito di pericolo e non di danno, nel senso che costituisce violazione sia quando provoca la mancata ripresa del lavoro sia quando tale circostanza sia solo ipotetica cioè quando il comportamento del lavoratore sia da considerarsi potenzialmente pericoloso alla guarigione.” La questione trae origine da una dipendente che mentre si assentava dal proprio posto di lavoro per malattia, aveva svolto altra mansione in un luogo diverso dall’originario posto di lavoro, per cui i giudici hanno considerato questo comportamento mancante di correttezza e violazione della buona fede poiché l’attività lavorativa in stato di malattia viola il dovere di pronta guarigione, con giustificazione al licenziamento per giusta causa.

 

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Francesca Paola Quartararo

Avvocato Francesca Paola Quartararo

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