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Diossine: dall’emissione alla ricaduta, la distanza è giusta?

Quando sentiamo parlare di diossina non possiamo che ricordare purtroppo il gravissimo incidente di quel 10 luglio 1976, a Seveso dove per un guasto al reattore A101 dell’Icmesa, una nube tossica si propagò nell’aria e coprì una vasta area da Seveso a Meda, da Cesano Maderno a Desio.  L’impianto era situato nel comune di Meda, al confine con la cittadina di Seveso, circa 15 km a nord di Milano, e produceva intermedi per l’industria cosmetica e farmaceutica, tra i quali il 2,4,5-triclorofenolo (TCP), composto tossico non infiammabile utilizzato come base per la sintesi di erbicidi.

La nube venne rapidamente propagata dal vento nel territorio circostante, densamente popolato, in direzione sud-est, per circa 6 km favorendo l’allargamento della fascia colpita. Furono segnalati numerosi casi di intossicazione, ricoveri e moria di molti animali, e ad una settimana dall’incidente, si registrarono 200 casi di cloracne. Gli effetti della diossina sull’uomo si misurano ancora oggi a distanza di quarant’anni e, ad ogni nuovo studio, si aggiungono nuove scoperte. L’ultima? Una correlazione tra la diossina, le malattie cardiovascolari e il diabete.

Tanto per sgomberare il campo da un facile quanto inutile allarmismo, ovviamente l’incendio della discarica di Bellolampo non è assolutamente paragonabile all’incidente di Seveso, ma il rischio diossina e, soprattutto, la questione ambientale, non possono essere sottovalutati.

Per valutare gli effetti di simili incidenti e comprendere il reale rischio connesso alla diffusione delle varie specie di diossine, è necessario ricorrere alla modellistica ambientale in grado di studiare ipotetici scenari di emissione e l’evoluzione spazio-temporale nella dispersione di sostanze inquinanti sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista qualitativo, anche nel caso di valutazione dei potenziali effetti dovuti tanto all’insediamento di nuovi siti industriali quanto agli interventi fatti su impianti già esistenti in modo da prevenire episodi acuti di inquinamento e predisporre misure opportune d’intervento.

L’integrazione dei risultati derivanti dall’applicazione di modelli ingegneristico-ambientali alla risoluzione di problematiche di ambito epidemiologico-sanitario permette di creare una metodologia di approccio multidisciplinare capace di suggerire scelte decisionali ottimali o strategie di risanamento e mantenimento più idonee. Questo vale tanto per prognosi a breve termine per situazioni di emergenza quanto per valutazioni a lungo termine per la determinazione del rischio sanitario e la ricaduta degli inquinanti sull’ambiente. In particolare, l’analisi di rischio per la salute umana è uno strumento importante in quanto può essere utilizzato in un’ottica integrata come: metodologia di previsione da attuare a monte di qualsiasi scelta di gestione e pianificazione ambientale; metodologia di localizzazione ottimale degli scenari emissivi; metodologia di controllo dei potenziali impatti sulla salute umana a causa di episodi d’inquinamento; strumento di comunicazione dei rischi alla popolazione.

L’EPA, l’Agenzia Americana per la protezione dell’ambiente, consapevole dei vantaggi che oggi i modelli possono offrire, ha creato al suo interno un gruppo operativo nel campo della modellistica. Questo è responsabile non solo di individuare quali siano oggi i migliori modelli in commercio, ma anche di testarne la validità e l’efficacia, oltre che tenerli continuamente aggiornati. L’uso di questi modelli offre una serie di vantaggi rispetto alle misure delle centraline di monitoraggio ed è per questo che oggi stanno diventando strumenti di sempre maggior impiego. Rispetto alle misure delle stazioni di monitoraggio, i modelli possono offrire: una copertura dell’intero territorio; valori di concentrazione in quota, fino all’altezza dello strato limite superficiale.

Fatta questa premessa, alcune domande sono d’obbligo. L’avere individuata l’area oggetto delle restrizioni dell’ordinanza sindacale 155 del 29 luglio scorso con un cerchio di quattro chilometri di raggio, è il risultato di uno studio di simulazione e analisi modellistica o è una determinazione empirica e approssimativa? E, soprattutto, offre la certezza di comprendere al suo interno le aree effettive potenzialmente interessate dalle ricadute delle diossine o, al contrario, è troppo estesa e penalizza le attività agricole praticate senza una oggettiva motivazione?

Fabio Gigante

 

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