Il 50,7% dei prestiti garantiti dallo Stato, fino a 25.000 euro e fino a 800.000
euro, è appannaggio delle quattro grandi regioni del Nord dove, però, è attivo “solo” il 38% di partite
Iva e pmi italiane. Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna si assicurano oltre la metà dei
finanziamenti con paracadute pubblico, ma in quelle zone del Paese opera, in proporzione, un
numero di imprese e professionisti nettamente inferiore alla quota di crediti in arrivo grazie al
decreto liquidità; nel resto del Paese, opera il 62% di soggetti economici, ma la quota di prestiti si
ferma al 49,3%. È quanto emerge da un’elaborazione realizzata dalla Fabi, secondo la quale, su
complessivi 17,1 miliardi di euro di prestiti richiesti in Italia fino al 25 maggio, sfruttando il Fondo
centrale di garanzia, in Lombardia le domande ammontano a 3,9 miliardi pari al 22,5% del totale,
ma le imprese e le partite Iva, rispetto all’intero territorio nazionale, sono il 15,7%; in Veneto le
domande valgono 1,9 miliardi ovvero l’11,5% del totale, mentre la quota di pmi e partite Iva si ferma
al 7,9%; situazione simile a quella dell’Emilia-Romagna, con 1,7 miliardi di richieste, pari al 10,1%
del totale, da confrontare con il 7,4% di imprese e partite Iva operanti sul territorio regionale; in
Piemonte, unico caso fra le quattro maggiori regioni settentrionali, c’è un sostanziale equilibrio
considerando che le domande valgono 1,1 miliardi, pari al 6,5% del totale nazionale e la quota di
pmi e partite Iva si attesta al 7%.
Dall’analisi della Fabi, dunque, emerge un evidente divario tra la ripartizione, su base regionale, dei
prestiti protetti dallo Stato col decreto “liquidità” e la distribuzione territoriale di partite Iva e piccole
medie imprese. Ne consegue che alcune zone del Paese, di fatto, sono significativamente premiate
e altre, specie al Sud, pesantemente penalizzate. Nel resto d’Italia, con l’eccezione di Marche e
Umbria, il rapporto tra prestiti richiesti e percentuale di imprese è sempre in “deficit”, la quota di
finanziamenti, in sostanza, è inferiore alla quota di pmi e partite Iva presenti rispetto al totale
nazionale: nel Lazio le domande di prestiti valgono il 9,4% del totale (1,6 miliardi), le pmi e partite
Iva rappresentano il 10,9% del bacino nazionale; in Toscana si raffronta il 6,2% delle richieste di
finanziamento (1,1 miliardi) con il 6,2% di soggetti economici operanti; in Campania, i prestiti
arrivano al 7,7% (1,3 miliardi) e le pmi/partite Iva al 9,8%; in Puglia, il confronto è tra il 4,8% di
finanziamenti (812 milioni) e il 6,3% di operatori economici; in Sicilia il 5,0% di prestiti (848 milioni)
va rapportato al 7,7% di pmi/partite Iva; in Abruzzo, le domande ammontano al 2,1% del totale (353
milioni), ma imprenditori e professionisti pesano per il 2,4%; in Calabria, il 3,1% di pmi e partite Iva
italiane ha presentato richieste per l’1,6% del totale; in Liguria il 3,1% di pmi e partite Iva italiane ha
presentato richieste per l’1,6% del totale; in Sardegna si raffrontano l’1,5% delle richieste di
finanziamento (262 milioni) con il 2,8% di soggetti economici operanti; in Basilicata lo 0,7% di
prestiti (114 milioni) va rapportato all’1% di pmi/partite Iva; in Trentino-Alto Adige, le domande
ammontano all’1,3% del totale (221 milioni), ma imprenditori e professionisti pesano per l’1,8%; nel
Molise le domande di prestiti valgono lo 0,4% del totale (64 milioni), le pmi e partite Iva
rappresentano lo 0,6% del bacino nazionale; in Val d’Aosta, le domande ammontano allo 0,1% del
totale (19 milioni), ma imprenditori e professionisti pesano per lo 0,2%.
Proporzione quasi rispettata in Friuli-Venezia Giulia: i prestiti richiesti ammontano all’1,8% del
totale (307 milioni), percentuale leggermente più alta della quota di pmi e partite Iva rispetto
all’intero bacino nazionale (1,7%). Due le eccezioni ovvero le situazioni “favorevoli” lontane dal
Nord: quella della regione Marche, dove la quota di finanziamenti è pari al 3,6% del totale (618
milioni), mentre le pmi e le partite Iva sono il 2,8%; e quella della regione Umbria, dove i prestiti
valgono l’1,6% (277 milioni), mentre gli operatori economici sono l’1,5%.