Trump e la guerra: l’Europa accusa ma non costruisce
Le critiche all’ex presidente USA nascondono le debolezze di un continente fragile e senza visione.

Trump, Putin e la guerra in Ucraina: l’Europa che accusa è la stessa che non sa difendersi
Dall’Italia e dalla sinistra europea piovono critiche sul silenzio strategico di Trump, ma il vero problema è un’Europa senza visione e senza potenza.
Esteri 26 maggio 2025 – Trump tace, Trump gioca, Trump non interviene. Eppure, chi lo accusa è lo stesso continente che da decenni non investe su difesa, strategia e indipendenza. L’Europa pretende protezione senza prendersi responsabilità.
Il cuore della notizia
Non passa giorno senza che da qualche cattedra progressista europea, da qualche editorialista italiano o da qualche esponente di sinistra arrivi una critica a Donald Trump. Il pretesto oggi è il suo atteggiamento ambiguo verso la guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente. “È troppo morbido con Putin”, dicono. “Non prende posizione su Israele”, aggiungono. Ma davvero qualcuno pensa che un possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca debba coincidere con una nuova sottomissione agli interessi europei?
La verità è che Trump fa politica americana, non beneficenza internazionale. Ed è proprio questo il nervo scoperto che fa male a chi da anni immagina l’Europa come un’entità che riceve ordini, sussidi e protezione, senza mai diventare davvero autonoma.
L’Europa che accusa, ma non costruisce
L’Europa è stata incapace di dotarsi di un esercito unico, di una politica estera comune, di una forza industriale in grado di sostenere crisi globali. La NATO ha sempre visto il continente come spettatore, spesso ingrato, della protezione garantita dagli Stati Uniti.
Se Trump oggi gioca la sua partita, lo fa da uomo politico. Non muove carri armati, non lancia bombe, ma condiziona le narrative. E questo, per chi preferisce la guerra dichiarata all’ambiguità strategica, diventa un problema.
Ma la domanda è un’altra: dov’era l’Europa quando bisognava prevenire l’invasione russa? Dov’era quando si trattava di difendere le frontiere, contenere le crisi migratorie, o sostenere economicamente le proprie industrie invece di affossarle con burocrazie e vincoli ideologici?
L’Europa delle zucchine e dei cappotti
L’Europa sarà ricordata – se mai sarà ricordata – non per la sua forza militare o per la sua visione geopolitica, ma per la misura delle zucchine, per la farina di insetti da inserire nei prodotti alimentari, per le reti da pesca da restringere, per le costruzioni sostenibili imposte anche a chi non può permettersele. L’Europa delle case green, dei cappotti termici obbligatori, dell’eco a tutti i costi, del grill vegetariano imposto per legge. Una burocrazia soffocante che si è preoccupata più di normare le abitudini alimentari dei cittadini che di proteggere i suoi confini.
È questo il risultato di un pensiero ideologico, progressista e sinistrorso, che invece di costruire un’identità forte e rispettata ha trasformato il continente in un laboratorio sociale, dove ogni Paese deve adeguarsi a un modello che funziona solo nei salotti benestanti delle capitali del Nord Europa. Altro che potenza alla pari di USA, Cina o Russia: l’Europa ha scelto di essere maestra di morale, non attrice politica.
Alla faccia dell’ipocrisia
Trump non è un santo. Ma chi oggi lo accusa di inerzia, dimentica che è l’Europa ad aver abdicato al suo ruolo. E l’Italia – soprattutto quella parte politica che parla in nome della “pace” solo quando serve a colpire i propri avversari – è diventata cassa di risonanza di un’ipocrisia continentale.
Le guerre si prevengono con la forza, non con gli hashtag. E la sicurezza si garantisce con scelte coraggiose, non con la retorica delle colpe esterne.