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Creativi dell’impossibile opere dalla forte simbologia evocativa, ecco Alessandro Armetta artista visionario

Intervista ad Alessandro Armetta

a cura di Gabriele Landi

Gabriele Landi: Ciao Alessandro, Le tue sculture mi fanno venire in mente i nidi degli uccelli fatti assemblando fra loro i materiali più disparati per assolvere ad un necessità primaria. Quale è la tua necessità primaria?
Alessandro Armetta: Ciao Gabriele , la mia necessità primaria quando assemblo i miei elaborati è quella di voler evadere dall’ apatica quotidianità che mi circonda. Questo è un processo che avviene solo nel mio studio, un momento in cui la realtà attorno si raffredda isolandomi un una dimensione intima e parallela in cui dò vita ad un mio “linguaggio” aggressivo e prepotente.
Il mio è un lavoro veloce e istintivo, non mi soffermo a pensare quando agisco , anzi è come se subissi una perdita del controllo, che mi fa creare in modo primitivo e che mi induce a distruggere , bruciare, intrecciare, inglobare qualsiasi cosa mi circonda in quel momento.
Solo dopo avviene la riflessione; ad azione finita, quando mi trovo di fronte alle diverse immagini da me create, ed è lì che capisco cosa mi ha restituito la giornata in studio, a volte solo macerie, ma se va bene anche una scultura.
È divertente il paragone che fai tra i miei lavori e i nidi degli uccelli, che costruiscono le loro tane creandosi una rifugio, ed effettivamente il modo che ho di assembrare il materiale potrebbe accomunarmi a questi animali; da un punto di vista pratico potrebbero esserci delle similitudini fra i loro gesti ed i miei, ma questa è solo una casualità.
Concettualmente se volessimo paragonare i flussi di materia che compongo ad un elemento naturale, potremmo farlo con il fuoco, che quando divampa delimita, devasta e in alcuni casi, come in antichità, protegge dalle bestie allontanandole.
G.L. :Le tue sculture sembrano generare spazio dialogando con esso puoi parlarne?
A.A. :La mia intenzione non è quella di dialogare con lo spazio, ma più che altro di occuparlo, attraverso delle forme che a me piace definire “silenziose”: esse pulsano nell’ atmosfera in modo apparentemente minaccioso , delimitando o creando porzioni di emozioni o memorie che vivono dentro i nostri giorni.
In base alla loro tipologia di forma cambia il ruolo che occupano nello spazio . Nel caso di “Fuoco freddo” costituito da un semplice cerchio o di altre sculture che mantengono una linea chiusa, lo scopo è quello di delimitare sapientemente delle sezioni , cosicché il vuoto che si viene a creare al loro interno possa divenire un area mia privata e intima estrapolata dalla coscienza e conoscenza altrui .
Quel che accade nel lavoro con i passeggini o con i letti, la superfice occupata dalla massa di colori scuri rievoca il ricordo di possibili drammi comuni, incubi o emozioni che solitamente si cerca di rimuovere dalla memoria.
G.L.: Esiste nel tuo lavoro un’ equazione densità/intensità?
A.A. :Nei lavori geometrici è fondamentale mantenere una proporzione visiva, poiché è molto facile perdere la forma usando qualche segno di troppo; infatti molto spesso tolgo o aggiungo materiale direttamente nel luogo in cui espongo.
Quel che mi aiuta è la struttura in ferro , un reticolo facile da seguire che mi indica dove poter accumulare gli intrecci. Una volta creato lo scheletro, decido se renderlo più o meno visibile in base alla quantità di legno che utilizzo.
Dispongo le schegge in maniera frenetica e irrequieta , questo conferisce ad alcuni dei miei lavori un aspetto opprimente e inquietante, qualcuno di loro può ricordare delle gabbie dal quale si vorrebbe evadere.
A volte i miei lavori non sono frutto di una lunga progettualità, nascono semplicemente da bozzetti sui muri dello studio; ed è solo quando inizio effettivamente a lavorare alle mie scultore che mi perdo nel fervore di infilzare in modo incontrollato e istintivo la forme e gli oggetti che ho davanti.
G.L.: Il colore serve solo a dare una pelle unica ai materiali che impieghi nelle tue sculture o assolve anche ad altri compiti?
A.A.: A volte sì, a volte no. È fondamentale che il colore ricopra interamente i miei lavori, camuffando l’identità dei materiali industriali e di recupero che utilizzo.
Poiché non vorrei fare intendere a chi guarda , che lasciando il legno nella sua cromaticità naturale io abbia l’intenzione di voler creare un nesso tra la mia arte e la natura; quando la vera necessità è quella di dare vita a sfoghi istantanei, tramite un materiale povero che unendosi al colore si trasforma in un segno/disegno, un input nervoso che rimane congelato nell’aria.
G.L.: I lavoro che fai su carta sono autonomi o nascono come progetti per le sculture?
A.A.: Se fai riferimento agli acquarelli sì, sono autonomi. È sempre un modo in cui ripeto un gesto , creando diverse atmosfere che delimitano un’area vuota interna ed esterna alle sfumature di colore . Ultimamente ho iniziato a pensare come loro potessero vivere non tanto come disegni su carta fine a sé stessi, ma come sfoghi raffreddati. In questo mi ha aiutato molto il gesso; che una volta rappreso ingloba la carta a sé trattenendola, imprigionandola e permettendomi di poterne abusare , strappandola riducendo la pittura precedente a semplici macchie. Lasciando come una memoria che potrebbe rimanere in seguito ad un trauma o ad uno shock subito.
I progetti delle mie sculture invece sono intimi e rimangono racchiusi in bozzetti realizzati in fogli di carta che mi trovo sotto tiro , o anche sulle mura dello studio, come avevo accennato in precedenza.
Essi vengono poi riuniti in un unico foglio dove stabilisco le misure e le proporzioni per far sì che la scultura finale possa restituire un caos visivo funzionale.
Alessandro Armetta nato a Palermo il 30 Agosto 1996 Diplomato nel 2015 presso il Liceo Artistico Eustachio Catalano di Palermo, laureato nel 2021 presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo. Lavora tra Palermo e Torino, ha appena terminato una residenza presso Paratissima dove attualmente ha il suo studio.

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