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RUBRICA DELL’AVVOCATO DEL MARTEDI’_ TUTELA DEL LAVORATORE: COSA FARE SE IL DATORE DI LAVORO NON VERSA I CONTRIBUTI ALL’INPS

 

a cura dell’Avvocato Francesca Paola Quartararo

La crisi economica ha messo in difficoltà diverse imprese, alcune di loro, per sopravvivere non versano i contributi INPS dei propri dipendenti. L’inadempimento contributivo delle imprese,  mette in difficoltà molti lavoratori quali per il mancato versamento dei contributi non riescono ad arrivare alla pensione.

Cosa sono i contributi? I contributi sono quella parte di retribuzione dei lavoratori dipendenti o del reddito di lavoro dei lavoratori autonomi destinati al finanziamento di prestazioni previdenziali (pensione) o assistenziali (infortuni e/o malattie). Per essere sicuri che i propri contributi siano regolarmente versati dal datore di lavoro all’INPS, la prima cosa da fare è verificare la propria situazione previdenziale, estraendo dalla propria aerea personale inps, l’estratto conto contributivo. Per cui, attraverso una verifica preliminare, in caso di mancato versamento dei contributi previdenziali, il lavoratore deve informare immediatamente INPS che, insieme all’Agenzia dell’Entrate, provvederà ad effettuare la verifica dei versamenti da parte del lavoratore.

Se il datore di lavoro non paga i contributi si può agire su due fronti:

  • Azione Giudiziaria: il lavoratore cita in giudizio il datore di lavoro per il risarcimento del danno;
  • Chiedere il riscatto dei contributi omessi e caduti in prescrizione. A tal proposito con la legge 28/03/2019 n. 26 è stata introdotta, in via sperimentale per il triennio 2019-2021 e nella misura massima di anni cinque, la possibilità di riscatto fino a cinque anni anche non continuativi, relativi a periodo non coperti da contribuzione, riguarda esclusivamente lavoratori iscritti a una gestione INPS, privi di anzianità contributiva al 31/12/1995 e non già titolari di pensione. I periodi da riscattare devono essere “non soggetti ad obbligo contributivo” vale a dire che non si può utilizzare questo strumento per regolarizzare situazioni di omissioni di versamenti.

Nel caso in cui il lavoratore debba chiamare in giudizio il datore di lavoro per il mancato versamento contributivo deve tener presente:

  • Nel procedimento azionato dall’ex lavoratore nei confronti del datore di lavoro per i contributi non versati, l’INPS è litisconsorte necessario e va convenuto in giudizio. In caso contrario, sussisterò un difetto di integrità del principio del contraddittorio ed il processo sarà nullo – stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. lavoro, con l’ordinanza 22/10/2021 . 29367 –

La Corte di Cassazione in conformità con le pronunce della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel caso in cui un lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi evasi relativi alla propria posizione lavorativa, anche l’ente previdenziale destinatario del pagamento deve essere convenuto in giudizio, a pena di inammissibilità della domanda, essendo necessario estendere il contraddittorio a tutti i soggetti del rapporto previdenziale. Sussiste, dunque l’esigenza della partecipazione al processo di tutte le parti coinvolte nella situazione sostanziale, altrimenti, in assenza anche di uno soltanto dei soggetti interessati, la sentenza potrebbe risultare non idonea a produrre un qualsiasi effetto giuridico anche nei confronti degli altri.

Dunque, il lavoratore che non abbia avuto versati i contributi previdenziali può ricorre al Tribunale e chiedere il pagamento dei contributi ex art. 2116 II comma c.c., secondo cui: “l’imprenditore p responsabile del danno arrecato al lavoratore, quando le istituzioni di previdenza assistenziali non corrispondano le prestazioni previdenziali, per il mancato adempimento dell’obbligo contributivo.

Inoltre in ossequio all’art. 13 della l. 1338/62 recita: “ ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia, superstiti e che non possa più versali per sopravvenuta prescrizione, può chiedere all’istituto nazione della previdenza sociale di costituire una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore in relazione ai contributi omessi. Il lavoratore dipendente, può richiedere la costituzione della rendita vitalizia (riscatto) se il datore di lavoro ha omesso il versamento obbligatorio dei contributi che non possono più essere versati con le normali modalità e che non possono più essere richiesti essendo intervenuta la prescrizione di legge.

Per cui qualora sia intervenuta la prescrizione dei contributi dall’art. 13 I comma della legge n. 1138/1962, riconosce al lavoratore la facoltà di chiedere all’INPS la costituzione di una rendita vitalizia reversibile, rapportata all’ammontare della pensione comprensiva dei contributi che non sono stati versati.

La costituzione della rendita vitalizia (RISCATTO) può essere chiesta:

  • Al datore di lavoro che ha omesso il versamento dei contributi il quale procede al pagamento degli stessi rimediando al danno causato al dipendente;
  • Dal lavoratore stesso, in sostituzione del datore di lavoro, sia nel caso in cui presti ancora attività lavorativa sia nel caso in cui abbia già ottenuto la pensione.

Dunque, una volta scaduti i termini prescrizionali al pagamento dei contributi previdenziali, l’Ente previdenziale non può avanzare pretese nei confronti del datore di lavoro, ma il lavoratore deve può promuovere diversi tipi di azione:

  • La costituzione presso l’Ente previdenziale di una rendita vitalizia computa in base ai contributi non versati (art. 13 legge 12/08/1962 n. 1338), il termine di prescrizione è di 10 anni decorrenti dalla maturazione del termine di prescrizione del diritto al recupero dei contributi da parte degli Enti.
  • Un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 II comma c.c. con il medesimo termine di prescrizione.
  • Un’azione di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso e tale diritto al risarcimento del danno, con medesimo termine di prescrizione;
  • Un’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno contributivo ex art. 2116 II comma c.c., tale azione si prescrive nel termine di 10 anni dalla maturazione dei requisiti legali previsti per il diritto alla pensione.

La materia in oggetto necessita di ulteriori approfondimenti per la quale bisogna esaminarli in relazione al singolo caso concreto. Per maggiori informazioni e/o pareri in merito alla questione consultate il sito www.avvocatoquartararo.eu

 

Francesca Paola Quartararo

Avvocato Francesca Paola Quartararo

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