Stuprata da un clandestino appena scarcerato
Padova, 15 aprile 2025 – Violentata, sequestrata, ingannata con una telefonata: è successo a Padova, sabato 12 aprile. L’aggressore è un kosovaro di 36 anni, irregolare da anni, uscito dal carcere il giorno prima. Doveva essere espulso. Invece era libero. E pronto a colpire.
La vittima, una donna albanese di 37 anni, è stata attirata con una scusa: una chiamata anonima le annuncia un presunto problema del figlio. Scende in strada. L’aggressore la aspetta, armato, e la obbliga a seguirlo in un appartamento disabitato. Lì, per due ore, abusa di lei. Solo grazie a una chiamata ricevuta riesce a fuggire e denunciare tutto.
Il suo aguzzino? Un uomo con numerosi precedenti, che doveva essere rimpatriato. Ma da 12 anni è in Italia, tra furti, resistenza e violazioni delle norme sull’immigrazione. Arrestato ancora una volta, oggi è al carcere di Padova.
Un sistema che protegge i carnefici
Ogni volta che accade una tragedia come questa, la risposta politica è la stessa: silenzio, retorica, giustificazioni. Mentre il governo lavora per accordi con l’Albania per istituire CPR e procedure di rimpatrio più rapide, c’è chi grida allo scandalo per le
manette di plastica.
Sì, proprio quelle: strumenti leggeri, non violenti, utilizzati per gestire in sicurezza il trasferimento dei clandestini espulsi. Ma non va bene. Secondo una certa sinistra, è troppo.
Intanto, nessuno sembra scandalizzarsi quando un clandestino irregolare stupra una donna. Quando distrugge una vita. Quando approfitta delle debolezze del nostro sistema.
L’ipocrisia dei “poverini”
Chi frequenta il nostro Paese da anni, con odio per le nostre regole ma fiducia assoluta nella nostra permissività, lo fa perché sa che qui si può fare tutto. E quando viene arrestato, ci sarà sempre qualcuno pronto a dire: “Aveva problemi, poverino”.
Un problema che diventa politico. Perché se chi governa propone regole, chi urla contro ogni norma continua a proteggere l’illegalità sotto il vessillo dei diritti. Ma qui i diritti sono a senso unico: quelli della vittima, dimenticati.
Non è razzismo. È difesa. Di chi rispetta la legge, di chi vive onestamente, di chi chiede solo di non essere lasciato solo. Se non si ha il coraggio di espellere chi non ha titolo per restare, allora siamo complici. E non potremo dire: “Non lo sapevamo”.