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Referendum-trappola: perché non partecipare è un atto politico

Strumenti democratici usati per fini elettorali: il “no” non basta, serve l’assenza.

Il referendum della trappola: dire no non basta, bisogna non votare

Dietro i buoni propositi si nasconde un disegno ideologico che punta a legittimare la cittadinanza facile. Non prestiamoci al gioco di chi ha portato l’Italia in questo stato di insicurezza.

Non è solo una consultazione. È un’arma politica. Il referendum annunciato come “voce al popolo” è in realtà una trappola narrativa. Chi lo promuove ha già scritto il finale: dare cittadinanza agli stranieri svuotando il senso di appartenenza e trovare nuovo elettorato.

I referendum della farsa

Il quesito promosso da forze ambientaliste e sinistre varie, che a parole dicono di voler “impedire” una riforma, in realtà serve a rafforzare una strategia: aprire alla cittadinanza facile, favorendo un meccanismo di consenso elettorale costruito su nuovi potenziali votanti. Una forma moderna di scambio politico, dove al posto delle promesse ci sono i documenti d’identità.

Una sinistra che contraddice se stessa, che chiede di abrogare una legge che ha di fatto favorito e promosso, e che ora – in nome dell’inclusività – vuole aggirare il Parlamento, facendo passare per “referendum popolare” una scelta già decisa nei circoli ideologici.

Noi diciamo: non andate a votare

Non si tratta di scegliere tra sì o no. Si tratta di non legittimare un’operazione costruita per ragioni elettorali. Partecipare, anche per votare “no”, significa alimentare un’illusione. Il gesto più politico oggi è quello dell’assenza: non votare, non prestarsi, non cedere al ricatto morale.

Essere cittadini è un onore, non un diritto automatico

Essere cittadini italiani deve essere un premio per chi dimostra di credere nei valori della Repubblica, nella Costituzione, nella legalità. Non può essere ridotto a una pratica burocratica o a un’operazione di marketing politico.

Lo diciamo chiaramente: non ci stiamo. Non accettiamo che la cittadinanza venga strumentalizzata per raccattare consensi, creare bacini elettorali e riplasmare l’identità italiana a colpi di slogan e finti buoni sentimenti.

La vera disobbedienza civile è il silenzio delle urne

Chi oggi si sottrae non è un qualunquista. È un cittadino sveglio. È un osservatore lucido. È uno che non si lascia prendere in giro. Le battaglie vere si fanno nei luoghi della democrazia parlamentare, non attraverso quesiti ambigui, studiati per manipolare l’opinione pubblica.

Non serve dire no. Serve dire basta. Non andate a votare.

Nota del Direttore: Questo editoriale riflette la mia posizione, come cittadino e come direttore responsabile, su un tema che travalica il semplice voto referendario. È ormai evidente che una certa parte politica – ideologica, autoreferenziale – ha cercato per anni di costruire un modello di cittadinanza facile, accoglienza incondizionata e integrazione imposta, senza valutarne le conseguenze reali. Oggi ci ritroviamo un Paese e un’Europa sempre più insicuri, dove la presenza massiccia di clandestini, introdotti nel nome dell’umanità e del bisogno, ha generato disordine e criminalità diffusa. Per questo, rifiutare di votare non è disinteresse: è un atto politico lucido, coerente, necessario.
Francesco Panasci – Direttore Responsabile de Il Moderatore

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