Referendum sulla Giustizia, ecco i quesiti

Un'analisi nel dettaglio su cosa chiedono i cinque quesiti proposti

Domenica 12 giugno, dalle 7 alle 23, gli italiani saranno chiamati alle urne per pronunciarsi su cinque referendum in tema di giustizia.

La Corte Costituzionale, con cinque sentenze di quest’anno, ha dichiarato, infatti, ammissibili cinque quesiti referendari che, concernono in larga parte proprio il funzionamento della giustizia in Italia.

Giova precisare, innanzitutto, che si tratta di un referendum abrogativo previsto dall’art. 75 Cost., a mente del quale 500.000 cittadini o 5 Consigli regionali, possono proporre all’intero corpo elettorale “, l’abrogazione totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”. Nello specifico, le richieste di referendum popolare abrogativo sono state promosse dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte.

Vediamo nel dettaglio i diversi quesiti referendari.

 

ABROGAZIONE DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INCANDIDABILITA’

Con la sentenza n. 56/2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 29 novembre 2021 dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Pertanto, il primo dei quesiti referendari mira ad abrogare la cosiddetta “Legge Severino”, il primo dei tre decreti delegati previsti dalla legge anticorruzione richiesta nel 2012 da Paola Severino, ministra della Giustizia del governo Monti che stabilisce, adesso, l’incandidabilità alle cariche elettive o a responsabilità di governo per chi è stato condannato per delitti non colposi.

La vittoria del sì avrebbe quale effetto quello di abrogare del tutto la normativa, riportando nella discrezionalità del giudice la scelta di applicare o meno, la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

 LIMITAZIONE DELLE MISURE CAUTELARI

Con la sentenza n. 57/2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile anche la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 274, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale) e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente alle parole: «o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni».

Per essere ancora più puntuali nel chiarire cosa si intende per misure cautelari, è opportuno specificare che si tratta di provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, finalizzati ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti pericoli: il pericolo per l’accertamento del reato, il pericolo per l’esecuzione della sentenza, il pericolo che si aggravino le conseguenze del reato. Infatti, tra l’inizio del procedimento penale ed il momento in cui la sentenza viene eseguita passa un periodo di tempo che può essere anche molto ampio.

Le misure cautelari (ad esempio, la custodia in carcere, l’obbligo di presentarsi alla polizia, il sequestro conservativo) comportano la limitazione di alcune libertà fondamentali che sono tutelate dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. Pertanto, il codice, nel regolamentare le misure cautelari, prevede che devono essere rispettate tutta una serie di garanzie previste dalla Costituzione e nelle Convenzioni internazionali.

Più nel dettaglio, le misure personali possono essere applicate soltanto quando esiste in concreto almeno una delle esigenze cautelari indicate tassativamente dall’art. 274. Infatti, il pubblico ministero, nel presentare al giudice la richiesta motivata di disporre una misura cautelare, deve fornire gli elementi di prova che dimostrino in concreto sia l’esistenza di tutte le condizioni necessarie per applicare la misura richiesta (gravi indizi e punibilità in concreto), sia il ricorrere di una delle esigenze cautelari, e cioè il pericolo di inquinamento della prova, il pericolo di fuga o, infine il pericolo che vengano commessi determinati reati.

Pertanto, il secondo quesito intende sopprimere il presupposto relativo alla reiterazione del reato, che non sarebbe dunque più un motivo per adottare questa misura limitatrice della libertà personale che, però, resterebbe ferma in casi di reati molto gravi.

 

SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI DEI MAGISTRATI

Con la sentenza n. 58/2022 la Corte Costituzionale ha altresì, ritenuto ammissibile il quesito referendario concernente la «Separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati».

L’intento dei proponenti, è quello di rendere irreversibile, attraverso l’abrogazione referendaria, la scelta operata dal magistrato, all’inizio della carriera, circa le funzioni (giudicanti o requirenti) da esercitare.

Pur coinvolgendo una pluralità di disposizioni contenute in diversi testi normativi – come specificato dalla Corte – esso chiama univocamente il corpo elettorale a pronunciarsi su una chiara alternativa: se i magistrati possano continuare a mutare di funzione nel corso della carriera, oppure se tale possibilità debba essere eliminata.

Occorre, peraltro, precisare che l’eventuale esito positivo del referendum avrebbe altresì, quale effetto, la “cristallizzazione” immediata delle funzioni attualmente esercitate dai magistrati in servizio.

IL GIUDIZIO SUI MAGISTRATI

Con la sentenza n. 59/2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato anche ammissibile la richiesta di referendum abrogativo popolare riguardante l’eliminazione di quelle norme che escludono gli avvocati e i professori universitari, membri o del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione o dei Consigli giudiziari, da quelle decisioni che questi organismi adottano sulle valutazioni di professionalità dei magistrati.

Il fine perseguito, mediante la richiesta di abrogazione di alcuni frammenti normativi, è far sì che i membri laici sia del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, sia dei Consigli giudiziari siano inclusi nelle discussioni e deliberazioni che la riforma introdotta dal d.lgs. n. 25 del 2006 e poi in parte modificata dalla legge n. 111 del 2007, ha espressamente riservato ai rispettivi organi in composizione ristretta, circoscritta ai soli membri togati.

ELIMINAZIONE DELLE LISTE DI PRESENTATORI PER L’ELEZIONE DEI TOGATI DEL CSM

Infine, con la sentenza n. 60/2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il quesito referendario che, chiede l’abrogazione di alcune norme in materia di elezione dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura e, nello specifico, nella parte in cui è previsto l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per potersi candidare come membri dell’Organo di governo autonomo della magistratura.

Pertanto, nel caso in cui vincesse il “sì”, ogni singolo magistrato potrebbe candidarsi al Consiglio superiore della magistratura, senza necessariamente aver bisogno delle sottoscrizioni di altri colleghi, che presentano la sua candidatura.

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