Ramy Elgaml, la verità dai periti: i Carabinieri non hanno colpe. Ora chi chiede scusa allo Stato?
La consulenza cinematica della Procura conferma la correttezza dell’operato dei Carabinieri: a provocare la tragedia fu la fuga illegale dello scooter guidato da un giovane sotto effetto di droghe.
Il caso Ramy Elgaml: la consulenza della Procura assolve i Carabinieri
Il verdetto tecnico scagiona l’Arma: nessuna responsabilità nell’incidente. Ma chi chiederà ora scusa allo Stato?
La consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano sul tragico incidente che ha causato la morte di Ramy Elgaml, 19enne di origini egiziane, ha fatto chiarezza: i Carabinieri hanno agito con correttezza, professionalità e nel pieno rispetto delle regole. Nessun comportamento scorretto, nessuna manovra azzardata. La dinamica dell’inseguimento, secondo gli esperti incaricati, non evidenzia alcuna responsabilità riconducibile alle forze dell’ordine.
Una vicenda strumentalizzata fin dal primo momento
Quando l’incidente avvenne, mesi fa, in molti – politici, attivisti e comunità di giovani di seconda e terza generazione – scesero in strada con accuse pesantissime contro l’Arma: “Carabinieri assassini”, “lo Stato uccide i nostri figli”, “giustizia per Ramy”. Quelle manifestazioni, esplose nel quartiere Corvetto di Milano, degenerarono presto in violenza: incendi di cassonetti, lancio di oggetti, immagini della premier Meloni date alle fiamme. Un attacco diretto non solo ai militari, ma all’autorità dello Stato stesso.
Ora, con i dati oggettivi della perizia alla mano, si scopre che la moto su cui viaggiava Ramy ha avuto un primo impatto prima del contatto con l’auto dei Carabinieri e che l’incidente fatale è stato provocato dalla condotta pericolosa e criminale del conducente, un giovane tunisino senza patente e sotto effetto di sostanze stupefacenti.
La verità riporta l’ordine
La ricostruzione smonta il castello di accuse mosso contro lo Stato. E restituisce dignità a chi quella notte indossava una divisa e stava semplicemente facendo il proprio lavoro. È il momento che chi ha fomentato odio – dai consiglieri comunali di sinistra fino ai leader sindacali che hanno dato fiato a una narrativa fuorviante – chieda pubblicamente scusa ai Carabinieri.
Perché in questo Paese non si può continuare ad attaccare chi garantisce l’ordine pubblico solo per alimentare tensioni ideologiche o inseguire consensi elettorali. Il caso Ramy non è stato solo una tragedia, ma è diventato il pretesto per una campagna di delegittimazione dell’Arma, cavalcata anche da chi dovrebbe essere il garante dell’equilibrio democratico.
Le parole di Landini e il clima di anarchia
Proprio in quei giorni, il segretario generale della CGIL Maurizio Landini invocava una “rivolta sociale”, dichiarando che bisognava “rivoltare il Paese come un guanto”. Un’escalation verbale che ha accompagnato l’ondata di violenza urbana e ha indirettamente giustificato forme di protesta sempre più aggressive e sempre meno legittime.
La verità oggi è sotto gli occhi di tutti: chi fuggiva dai Carabinieri aveva scelto di infrangere la legge, e la fuga ha provocato la morte di un giovane. Ramy era un ragazzo con precedenti penali, e il suo amico alla guida dello scooter non solo era privo di patente, ma anche sotto l’effetto di droga. Questa è la realtà dei fatti, accertata. E non può essere oscurata né dalla propaganda, né dalla retorica della rivolta.
Lo Stato non può essere sotto accusa
L’Italia ha bisogno di regole, non di anarchia. Di ordine, non di insubordinazione mascherata da lotta sociale. I Carabinieri sono le fondamenta dello Stato e chi cerca di infangare la loro immagine, lo fa anche con la complicità di una certa politica pronta a tutto pur di cavalcare l’odio.
Questa consulenza – anche se non una sentenza – è un punto fermo. È tempo che si ristabilisca il principio più semplice e necessario: davanti a un posto di blocco, ci si ferma. Davanti alla legge, si risponde. E chi scappa, chi guida senza patente e sotto effetto di droga, si assume le proprie responsabilità. A cominciare dal conducente, oggi formalmente indagato per omicidio colposo.
Che questo serva da monito. Perché non si costruisce alcuna giustizia mentendo. E non si tutela la libertà bruciando le divise di chi protegge il Paese.
12 marzo 2025







