Preferenze, il nodo politico alle Regionali. Tamajo: «Ogni voto è un mandato quotidiano»

L'Assessore spiega perché le preferenze rafforzano il legame con cittadini e imprese

«Le preferenze non sono un trofeo, ma un impegno quotidiano verso cittadini e imprese». Così apre l’intervista Tamajo.

Con le Regionali alle porte, il tema delle preferenze torna centrale. Intervista a Tamajo

Per l’Assessore alle Attività Produttive la scelta diretta degli eletti è sostanza di democrazia.

Palermo, 13 settembre 2025 – Il tema delle preferenze non è un dettaglio tecnico, ma uno snodo politico che continua a dividere. Per troppo tempo le scelte elettorali sono state determinate più nelle segreterie che nei territori, con candidati inseriti nei listini bloccati come “dovuti” alla fedeltà di partito e non alla fiducia degli elettori. Un meccanismo che ha finito per mortificare la rappresentanza e impoverire la qualità delle istituzioni. L’attuale legge elettorale, fondata sui nominati, non restituisce ai cittadini la centralità che la democrazia richiede. Per questo il ritorno alle preferenze non è un tecnicismo, ma una scelta politica di fondo. In questa cornice ho intervistato l’Assessore alle Attività Produttive della Regione Siciliana, Tamajo, per raccogliere la sua visione e capire come una figura con un consenso elettorale tra i più alti in Sicilia possa incidere realmente sul dibattito aperto oggi.

«Con le preferenze si torna a rispondere al territorio»

D. Assessore, perché ritiene le preferenze un punto dirimente e non un dettaglio tecnico?
Tamajo: Perché spostano il baricentro dal partito alla persona scelta dal cittadino. Con le preferenze l’eletto non può “scomparire” dietro un listino: sa di dover rendere conto a una comunità concreta, non a un algoritmo di candidatura. Questo produce due effetti: più accountability e più progetto di territorio. Il cittadino sa chi ha votato e pretende risultati, l’eletto sa di essere sotto osservazione.

D. Quali sono i limiti più evidenti delle liste bloccate?
Tamajo: Tre, soprattutto. Primo: l’indebolimento del legame con i luoghi. Entrare in Parlamento o in Assemblea senza passare dal confronto con gli elettori crea distanza. Secondo: la responsabilità si sposta verso le segreterie, non verso i cittadini. Terzo: si impoverisce la competizione delle idee perché la selezione è verticale. Con le preferenze, invece, chi convince sul campo ha un vantaggio reale.

Panasci: Nel giornalismo riceviamo decine di messaggi su “nominati” irraggiungibili che teniamo per noi. La distanza percepita è un problema politico, ma anche culturale.

D. L’obiezione classica: le preferenze alimentano clientele e micro feudi. Non rischiamo di sostituire un’oligarchia con un’altra?
Tamajo: Il rischio esiste se mancano regole e trasparenza. Ma gli strumenti ci sono: tracciabilità dei finanziamenti, tetti chiari alle spese, pubblicazione periodica dell’agenda dell’eletto, sanzioni effettive. Se si implementano controlli e si incentiva la partecipazione, le preferenze diventano una barriera alla cooptazione. La vera rendita di posizione nasce dove decide solo il vertice, non dove competono persone riconoscibili dagli elettori.

Panasci: Quindi il punto non è “preferenze sì/no”, ma “come le regoliamo” e quanto siamo disposti a rendere pubblici processi e conti.

D. Proporzionale con preferenze: chi teme instabilità parla di governi fragili. Non pensa che questo argomento pesi molto più di quanto ammettete?
Tamajo: Stabilità e rappresentanza non sono alternative. Uno schema proporzionale può prevedere soglie di sbarramento ragionevoli, incentivi alla coesione programmatica e tempi certi per la formazione dei governi. Se l’elettore sceglie e poi il sistema vincola a responsabilità e tempi, la stabilità diventa conseguenza della legittimazione, non di un artificio tecnico.

D. In Sicilia il rischio è che la preferenza diventi scambio o pressione territoriale. Come si fa a impedirlo?
Tamajo: Con tre leve. Partecipazione informata (dibattiti pubblici, dati chiari sul lavoro degli eletti), infrastruttura digitale per la rendicontazione (report periodici, open data, accesso semplificato), e una cultura amministrativa che premi chi porta risultati misurabili: opere avviate, servizi attivati, tempi rispettati. Le preferenze danno voce ai territori se i territori hanno strumenti per verificare e ricordare.

Panasci: Tradotto: meno slogan, più indicatori. Su questo i media hanno una responsabilità: spiegare e confrontare i numeri.

D. Veniamo al tema personale: c’è chi dice che lei difenda le preferenze forte del suo elettorato. Alle scorse europee avrebbe superato le 120 mila preferenze. Questo incide sul suo punto di vista?
Tamajo: Ho ricevuto un consenso importante e lo considero un mandato a restare raggiungibile. Per me le preferenze non sono un trofeo, ma un promemoria: ascoltare, tornare nei luoghi, spiegare le scelte, correggere la rotta quando serve. Detto questo, ogni tornata elettorale è unica e diversa dall’altra: non mi sono mai posto il problema di vivere di rendita sulla riuscita precedente. Conta stare sul pezzo, leggere i bisogni reali e soprattutto restare vicino ai cittadini e alle imprese, che oggi rappresentano il cuore della mia delega in assessorato. Io lavoro con i piedi ben piantati a terra e con umiltà, ogni giorno, senza aspettare le elezioni come se fossero l’unico traguardo. Il mio obiettivo è la costanza e la presenza sempre.

D. Oggi Totò Cuffaro ha riaperto il dibattito sulle preferenze. Non crede che il tema rischi di essere usato più come bandiera politica che come proposta reale?
Tamajo: Condivido l’apertura del confronto, ma serve concretezza. Il passo concreto è un tavolo tecnico-politico con tempi definiti: modello di legge, soglie, trasparenza economica, strumenti di rendicontazione civica. In parallelo, un percorso pubblico di ascolto nei territori. La riforma delle regole ha senso se i cittadini la sentono propria.

D. Forza Italia senza Berlusconi non è più la stessa. Pensa che anche lui, oggi, avrebbe sostenuto il ritorno alle preferenze?
Tamajo: Berlusconi aveva un rapporto diretto con gli elettori e sono convinto che avrebbe guardato con favore alle preferenze, perché rafforzano quel legame con la gente che lui ha sempre incarnato. Oggi con Tajani si lavora bene, il contesto è diverso e il periodo che viviamo è segnato da guerre e tensioni internazionali che pesano su tutti. In un quadro così complesso credo che ognuno di noi debba concentrarsi sul proprio territorio, fare la propria parte con responsabilità e soprattutto evitare di alimentare odio. L’odio è il vero male del nostro tempo: divide, indebolisce e ci allontana dalle soluzioni concrete di cui cittadini e imprese hanno bisogno.

Panasci: La partita, quindi, non è solo normativa ma culturale: la preferenza come patto di responsabilità tra eletto e comunità. Vedremo chi è disposto a sostenerla con regole e fatti. Nei prossimi giorni continueremo a raccogliere voci e posizioni di altri esponenti politici e amministratori, perché solo attraverso un confronto ampio e trasparente si potrà misurare la reale volontà di riportare i cittadini al centro della democrazia.
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