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“Il cinema è un diritto”: l’appello dei docenti di Diritti Umani dopo il grido di Pupi Avati

Rilanciata la proposta di un Ministero del Cinema e l’introduzione strutturata dell’educazione cinematografica nelle scuole

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ha deciso di unire la propria voce a quella del regista Pupi Avati, che durante l’ultima cerimonia dei David di Donatello 2025 ha lanciato un drammatico allarme: “Il cinema italiano è in codice rosso”. Un appello che ha trovato eco anche nelle parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha sottolineato il ruolo fondamentale che il cinema ha avuto nella costruzione dell’identità democratica italiana.

I docenti del Coordinamento si dicono profondamente d’accordo: “Il cinema è un diritto culturale e uno strumento educativo potentissimo”, affermano in una nota, proponendo una serie di interventi strutturali a sostegno della settima arte, a partire dalla creazione di un Ministero o un’Agenzia Nazionale per il Cinema e l’Audiovisivo, ispirato al modello francese, capace di garantire politiche pubbliche stabili e indipendenti per il settore.

Ma l’attenzione dei docenti si concentra anche sulla scuola. Il Coordinamento propone di introdurre il linguaggio cinematografico come disciplina trasversale nei curricoli scolastici, con l’obiettivo di educare alle immagini e rafforzare la cittadinanza digitale e democratica delle nuove generazioni. “Il cinema – spiegano – non è solo un mezzo di comunicazione: è un linguaggio di formazione civile, memoria collettiva e coscienza critica”.

Tra le proposte più significative anche quella di un Patto culturale tra Scuola, Cinema e Istituzioni, per costruire un ecosistema educativo e culturale coeso in grado di promuovere i valori costituzionali e i diritti umani attraverso la produzione audiovisiva.

In un mondo dominato dalla frammentazione mediatica e dalla sovraesposizione alle immagini, il Coordinamento conclude il suo appello con una riflessione: “Difendere il cinema oggi significa difendere la libertà di pensiero, la pluralità delle narrazioni e la possibilità di immaginare un futuro più equo e consapevole. Come nel 1945 con Roma città aperta, oggi può essere il nostro anno zero culturale”.

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