Il corpo delle donne “da un’altra prospettiva “

Gli stereotipi non sono scomparsi

Cresce sempre più lo sdegno sullo slogan  pubblicitario, in foto, apparso a palermo. Molteplici le polemiche anche sui social,  come si legge anche nella pagina Facebook della Biblioteca delle donne e Centro di Consulenza legale- Udipalermo onlus, associazione politica e culturale di donne che ha al centro della propria azione la relazione e la continuità genealogica fra donne, per valorizzare la soggettività femminile e affermarne la libertà, “In un tempo storico in cui il sessismo dovrebbe essere superato, un messaggio del genere che sminuisce e offende la dignità delle donne è solamente da rimuovere dalla circolazione”.

L’argomento principale di dibattito è la secolare questione di che cosa sia veramente il femminismo; secondo la definizione che ne dà l’autorevole dizionario inglese Merriam-Webster, che ha nominato feminism parola dell’anno nel 2017,  è “la teoria dell’uguaglianza politica, economica e sociale dei sessi o l’attività organizzata in favore dei diritti e degli interessi delle donne”.

Il termine feminism è apparso per la prima nella lingua inglese nel 1841, invece per quanto attiene la lingua italiana il termine femminismo comincia ad apparire verso la fine dell’Ottocento.

Allo stesso modo, Dictionary.com definisce il femminismo come “la dottrina che promuove l’uguaglianza dei diritti sociali, politici e di qualsiasi altro genere delle donne a quelli degli uomini”.

Ma nonostante il femminismo e la correlata lotta per l’emancipazione femminile è un argomento che in questi anni è salito alla ribalta ed è al centro dell’attenzione pubblica, il corpo delle donne continua ad essere utilizzato e strumentalizzato.

Le immagini stereotipate abbondano ancora, come evidenziato dalle tante ricerche tra le quali quella di  Geena Davis Institute on Gender in Media, ente di ricerca senza scopo di lucro fondato nel 2004 dall’attrice hollywoodiana.

Facebook ha collaborato a questo studio, esaminando più di oltre mille contenuti di advertising video veicolati dalla piattaforma social nel 2019.

le donne nella pubblicità sono ancora rappresentate in modo stereotipato. L’analisi delle campagne di video advertising di Facebook del 2019 evidenzia che è 14 volte più probabile incappare in una pubblicità che raffigura una donna in abiti succinti, anziché un uomo, e 6,1 volte più probabile trovare una parziale nudità femminile, anziché maschile.

Gli spot che rappresentano l’idea della “donna oggetto” sono 6,9 volte più numerosi di quelli che fanno la stessa cosa con gli uomini. Inoltre è 4,8 volte più probabile trovare una campagna pubblicitaria che raffigura l’estrema magrezza femminile, anziché quella maschile. “Questa potenziata attenzione verso il corpo delle donne, anziché verso la loro persona, può rafforzare la percezione delle donne come oggetti”, si legge nel report.

Anche la più nobile delle battaglie corre il rischio di perdere di valore, se chi la combatte non sa utilizzare i propri strumenti nel modo corretto. Quando poi gli interessi del singolo diventano impresa collettiva, è ancor più importante distaccarsi da qualsivoglia strumentalizzazione.

Diventa necessario mantenere la lucidità e purezza di pensiero e azione, per scongiurare il rischio di un ritorno al passato.

Le battaglie delle donne quindi, come tutte le altre, hanno bisogno di persone che sappiano combatterle. L’arma, ormai innocua, è sempre la stessa: una stancante retorica che si ripete negli slogan e nei contenuti. Questi, per quanto necessari, condivisibili e fondamentali di fronte agli attacchi del bigotto che avanza, spesso non sono in grado di smarcarsi da un pensiero comune di scarsa qualità e altrettanta originalità, che si limita a fare da contraltare  senza saper  proporre una narrazione alternativa.

Caterina Guercio

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