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Formazione professionale: chi rema contro non ha capito nulla

Chi ha il ruolo di decidere non sa decidere o decide male. Perché? 

Formazione professionale, c’è chi rema contro senza che si capisca il perché. 

Chi ha il ruolo di decidere non sa decidere o decide male. Perché?

Forse per incompetenza? Malafede? Sfregio al comparto? Frustrazione? Malapolitica? Demenza senile? O cosa?

Il conto da pagare è altissimo e lo paghiamo tutti, la società civile, lo Stato, i governi locali, gli Enti, i lavoratori, i corsisti.

Il pezzo che ho deciso di scrivere oggi è ispirato ad un articolo scritto dal collega Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera, dal titolo “Formazione professionale, un paradosso italiano”.

Altro che paradosso! Per un sistema della formazione che funzioni occorrerebbe formare chi decide. Non è un gioco di parole, ma realtà su cui il settore sbatte la faccia. 

Certamente De Bortoli ha fatto una impeccabile disamina sullo stato più generale e nazionale e non entra nel merito della situazione siciliana, dove c’è da mettersi le mani tra i capelli e senza dubbio gridare “aiuto allo stupro”. Si è uno stupro continuo, una violenza senza fine nei confronti di Enti, lavoratori, fruitori della formazione e dell’intero comparto che dovrebbe produrre figure professionali, ripristinare condizioni di svantaggio a persone fragili e riaffermare  ricchezza in termini di PIL, perché che si sappia la Formazione produce PIL.

La formazione è il futuro, non a parole o come payoff di una campagna di comunicazione, è il futuro.

Ma andiamo per ordine

 

La formazione professionale in Italia si trova di fronte a una sfida critica, con chi avrebbe il potere di decidere che sembra incapace di prendere decisioni. Questo problema ha un costo molto alto che paghiamo tutti. Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera dal collega Ferruccio De Bortoli intitolato “Formazione professionale, un paradosso italiano” solleva ulteriori interrogativi sulla situazione in generale.  mentre in Sicilia, la gestione che non c’è sembra essere al limite dell’inaccettabile.

Recentemente, il Presidente Schifani ha promesso un cambiamento, e gli enti, che ormai si trovano in una situazione critica, hanno posto totale fiducia nelle sue parole. Tuttavia, resta da vedere se effettivamente avverranno dei cambiamenti concreti. Ma andiamo al sodo: sembra che la questione riguardi solo i soldi. Da una parte, non sappiamo come spenderli, dall’altra, non sappiamo dove trovarli. Abbiamo mai avuto così tanti investimenti da fare, grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), e mai abbiamo avuto così tanti capitoli da finanziare, che vanno dalle coperture inesistenti della riforma fiscale agli interventi contro il dissesto idrogeologico. Una lista infinita di cose da fare, per adesso, diciamo che sono promesse.

Tuttavia, i fondi destinati alla spesa pubblica, specialmente in relazione agli impegni europei e alle riforme, sembrano non essere comunicanti. Questa illusione insana che permea il dibattito pubblico conferisce un’atmosfera di leggerezza finanziaria, ma non affronta la realtà dei fatti.

C’è un altro paradosso drammatico che, chissà perché, evitiamo di affrontare: l’emergenza giovanile.

Secondo Eurostat, siamo il secondo paese europeo, dopo la Romania, per il numero più elevato di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano, un giovane su cinque. Eppure, sembra che non ci scandalizziamo di fronte a questa situazione. Nel frattempo, le aziende hanno difficoltà a trovare i profili professionali di cui hanno bisogno, con un’azienda su due che non riesce a coprire le posizioni aperte.

Secondo il rapporto Excelsior-Unioncamere, attualmente più di un milione e duecentomila posti di lavoro rimangono scoperti a causa della mancanza di candidati adeguati. Nei prossimi cinque anni, il sistema economico avrà bisogno di 5,8 milioni di nuovi occupati, con un’urgente necessità di figure qualificate per sostituire i 2,7 milioni di persone che andranno in pensione. Nel frattempo, l’Italia continua ad invecchiare, con sempre meno giovani che vengono preparati adeguatamente, e talvolta perdiamo anche quelli più talentuosi e intraprendenti.

Il dibattito pubblico sembra ancora concentrarsi sul fatto che per aumentare il tasso di natalità bastino gli asili nido e gli aiuti alle famiglie. Tuttavia, abbiamo bisogno di immigrati, ma ci preoccupa l’integrazione. Questo non è solo un tabù politico. Accogliamo con favore coloro che ci aiutano in famiglia, ma guardiamo con diffidenza coloro che incontriamo per strada.

Formazione professionale: chi rema contro non ha capito nulla

 

Uno studio della Banca d’Italia, condotto da Gaetano Basso, Luigi Guiso, Matteo Paradisi e Andrea Petrella, ha stimato che il solo Pnrr creerà 300.000 nuovi posti di lavoro nel 2024, con un alto valore aggiunto, specialmente nei settori tecnologicamente avanzati. Tuttavia, gli autori del rapporto si chiedono se questi posti di lavoro saranno effettivamente coperti. Sarebbe una beffa se così non fosse.

Nei prossimi giorni, il ministro Raffaele Fitto, responsabile dell’attuazione del Pnrr, presenterà una relazione sullo stato di avanzamento.

Sarà interessante capire non solo quanto è stato speso, ma anche quanto della mancanza di investimenti sia dovuta alla mancanza di profili professionali adeguati e, in definitiva, alla qualità del capitale umano. Infatti, il vero obiettivo del Next Generation EU, che si concentra sulle prossime generazioni, non riguarda solo le infrastrutture, l’alta velocità, la rete digitale e le fonti rinnovabili. È anche un immenso investimento nel capitale umano. Tuttavia, questo rischia di fallire a causa delle poche competenze attualmente disponibili e del fatto che non ne stiamo creando abbastanza.

L’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica ha calcolato che un quinto delle risorse del Pnrr è destinato alla cura del patrimonio umano, come formazione, assunzioni e ammortizzatori.

È preoccupante notare, leggendo l’ultima relazione della Corte dei Conti, che il livello di attuazione è particolarmente basso nella missione dedicata all’istruzione e alla ricerca. Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, è fortemente impegnato nel miglioramento dell’istruzione tecnico-professionale, ma il destino di una delle riforme più significative del sistema scolastico, la legge 79/2022 sul reclutamento, la formazione e le carriere dei docenti, rimane incerto. Come segnalato da Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, l’obbligo di formazione iniziale e di aggiornamento professionale è ancora sulla carta, ostaggio delle divisioni tra i ministeri dell’Istruzione e dell’Università. Si lascia tutto alla buona volontà degli insegnanti.

Il 2023 è stato dichiarato l’Anno europeo delle competenze, ma sembra che in Italia questa celebrazione non riceva molta attenzione.

L’obbiettivo dell’Unione Europea è coinvolgere il 60% degli adulti in attività di formazione entro il 2030, con l’80% di loro che possiede competenze digitali di base. Tuttavia, per l’Italia, questo è un cammino arduo. Forse è giunto il momento di rimboccarci le maniche e agire.

Se da una parte possiamo ricorrere all’indebitamento per ottenere capitali, se mancano le competenze, nessuno può prestarcele. È fondamentale investire nella formazione e nell’istruzione, offrendo agli individui le competenze e le conoscenze necessarie per affrontare le sfide del futuro. Il Pnrr dedica una parte significativa delle risorse alla cura del patrimonio umano, ma è preoccupante constatare che l’attuazione in ambito educativo e di ricerca rimane bassa.

Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, si impegna per migliorare l’istruzione tecnico-professionale, ma la riforma che riguarda reclutamento, formazione e carriere dei docenti è ancora incerta. La mancanza di obblighi di formazione in servizio e di aggiornamento professionale rappresenta un ostacolo alla qualità dell’insegnamento.

È essenziale superare le divisioni tra i ministeri (politica) e garantire un sistema scolastico che promuova la formazione continua dei docenti.

Tra le altre cose, l’Italia deve affrontare il problema dell’inattività dei giovani. Dopo la Romania, siamo il Paese europeo con il maggior numero di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano, con una percentuale del 20%. Questa situazione rappresenta un’emergenza di cui non ci siamo ancora occupati in modo adeguato. Nel frattempo, le aziende segnalano una crescente difficoltà nel trovare i profili professionali di cui hanno bisogno, con la metà di esse che rimane senza le risorse necessarie. Questa carenza di competenze sta limitando la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro.

Formazione professionale: chi rema contro non ha capito nulla

 

Il Next Generation EU non è solo un progetto di opere pubbliche per la transizione, ma anche un investimento nel capitale umano. Se vogliamo che l’Italia abbia successo nel futuro, dobbiamo concentrarci sulla formazione e sull’acquisizione di competenze, in particolare nelle aree tecnologiche avanzate. È fondamentale creare un ambiente in cui i giovani possano essere adeguatamente preparati per il mercato del lavoro e in cui gli adulti abbiano accesso a programmi di formazione continua.

Allora possiamo affermare che il sistema italiano di formazione professionale affronta diverse sfide e le deve affrontare.  La mancanza di investimenti adeguati, la carenza di profili professionali e la scarsa attuazione delle riforme costituiscono ostacoli significativi per il progresso del Paese. È fondamentale che le autorità competenti, prendano le decisioni giuste e mettano in atto le misure necessarie per affrontare queste criticità. Solo così l’Italia potrà sfruttare appieno le opportunità offerte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dal Next Generation EU.

È necessario garantire la corretta allocazione delle risorse, concentrando l’attenzione sulla formazione e sullo sviluppo delle competenze.

È importante che la discussione pubblica si concentri sulla qualità del capitale umano e sull’importanza di investire nella formazione, anziché limitarsi a discutere dei finanziamenti e delle spese pubbliche in maniera superficiale.

La formazione non può essere considerata una spesa superflua, ma un investimento strategico per il futuro del Paese.

E’ fondamentale superare i tabù politici e affrontare in modo aperto e responsabile la questione dell’immigrazione. L’Italia ha bisogno di nuove energie e competenze, ma spesso ci troviamo timorosi di dover integrare gli immigrati. È importante promuovere politiche di integrazione efficaci e creare un ambiente accogliente per i talenti stranieri, in modo da sfruttare appieno il loro potenziale e contribuire alla crescita economica del Paese.

Il tempo stringe, e l’Italia, come ogni regione, per noi la Sicilia  che è tra le peggiori per sistema e lentezza politico- amministrativa,  deve agire con determinazione per affrontare le sfide della formazione professionale.

È necessario un impegno congiunto tra il governo, le istituzioni educative, le imprese e la società civile per promuovere una cultura dell’apprendimento continuo e garantire che i giovani abbiano accesso a percorsi formativi di qualità. Allo stesso tempo, è essenziale valorizzare e sostenere i docenti, fornendo loro le risorse e le opportunità di formazione necessarie per svolgere il loro ruolo in modo efficace.

L’Italia ha il potenziale per raggiungere risultati straordinari, ma ciò richiede un impegno concreto e una visione a lungo termine. Investire nella formazione professionale e nel capitale umano è una scelta strategica per garantire un futuro prospero per il Paese e per le prossime generazioni.

È il momento di remare tutti nella stessa direzione, affrontando le sfide e costruendo un sistema di formazione professionale solido e adatto alle esigenze del futuro. Solo così l’Italia potrà affrontare le sfide dell’economia globale e promuovere una società inclusiva e resiliente.

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