Baby gang in Italia, la piaga che non si ferma
Sono bande criminali formate da giovani stranieri di seconde e terze generazioni sempre più violente

Baby gang, criminali di ultima generazione: città italiane sotto assedio
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: città italiane ostaggio di bande giovanili che sfidano apertamente le istituzioni, mettono in discussione l’efficacia della giustizia minorile e si impongono come protagoniste di una nuova stagione di violenza urbana che non accenna a fermarsi.
Un fenomeno che dilaga
Dalle strade di Milano, Roma, Napoli e Palermo fino ai centri di provincia, le baby gang rappresentano ormai una realtà diffusa. Giovani che ostentano potere e anarchia, si muovono in branco e colpiscono vittime di ogni età: coetanei, minorenni più piccoli, ma anche adulti e anziani. Auto, scooter e biciclette elettriche vengono usati come strumenti di sfida e di dominio del territorio.
La componente straniera
I dati raccolti da inchieste e servizi televisivi – compreso lo speciale del TG5 andato in onda alle 7:30 di questa mattina – mostrano che gran parte di queste baby gang è composta da stranieri di seconda e terza generazione. Ragazzi nati o cresciuti in Italia, ma che non si sono mai realmente integrati. Al contrario, esprimono spesso odio verso il Paese che li ospita e verso gli italiani, vivendo di espedienti: furti, rapine, spaccio e violenze di gruppo. Una deriva che mette in crisi la convivenza sociale e alimenta paura nei quartieri.
A questo quadro si aggiunge la componente politica, che negli anni ha favorito un clima di assoluto buonismo e protezionismo. I progressisti hanno dipinto questi giovani come vittime di fragilità sociali, giustificando in parte i loro comportamenti devianti. Questo atteggiamento ha generato in molti di loro un senso di assoluzione morale e persino di compiacimento: si percepiscono fragili e discriminati, ma allo stesso tempo non accolti né integrati, e dunque legittimati a contrapporsi alla società. Un contesto che non ha fatto altro che alimentare arroganza, aggressività e sfida continua alle regole, lasciando i cittadini sempre più soli di fronte a un problema che si espande senza controllo.
Monza, città sotto pressione
Il focus del TG5 si è soffermato su Monza, dove nelle ultime settimane la situazione è precipitata. Bande giovanili organizzate si muovono con violenza spietata, aggredendo passanti, organizzando spedizioni punitive e gestendo traffici illeciti nei quartieri. Le testimonianze raccolte parlano di una città ostaggio, con cittadini esasperati che chiedono risposte immediate.
Pene e responsabilità
La questione più spinosa resta quella normativa: abbassare l’età della punibilità penale e introdurre pene più severe è tornato al centro del dibattito politico. La convinzione diffusa tra i cittadini è che senza un inasprimento delle regole, le città resteranno ostaggio di questi microcriminali che agiscono con la certezza dell’impunità. Monza è diventata l’ultimo caso emblematico, ma il problema riguarda ormai l’intero Paese.
L’attuale governo ha i numeri e la forza parlamentare per approvare nuove leggi e smantellare questo modello criminale, da anni impunito e talvolta protetto da certa politica. Una parte della sinistra, con il proprio atteggiamento di buonismo ideologico, ha favorito un clima di giustificazione e minimizzazione, impedendo un vero intervento. A ciò si aggiunge, secondo molti osservatori, il peso di una piccola parte della magistratura politicizzata, che tende ad adottare un approccio indulgente, trasformando reati gravi in episodi trattati con eccessiva leggerezza. È proprio questa combinazione di scelte politiche e interpretazioni giudiziarie ad aver alimentato la percezione di un sistema che assolve invece di punire, rafforzando nei giovani delinquenti la certezza di poter agire senza conseguenze reali.
Una generazione di giovanissimi senza radici, senza regole e senza rispetto: il fenomeno delle baby gang è la sfida che l’Italia non può più rinviare.







