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RUBRICA DELL’AVVOCATO DEL MARTEDI’_ LICENZIAMENTO LEGITTIMO: ALLUSIONI A SFONDO SESSUALI E RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA VITTIMA

La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 23295/2023 ha precisato: “… il clima goliardico non rappresenta una giustificazione al comportamento”. Nella medesima sentenza, si evince che: “il reato di stalking era estraneo ai fatti di causa e alle ragioni del licenziamento e dunque non rilevante l’esito del procedimento penale rispetto al recesso datoriale”, pertanto, evidenziando, “il carattere indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, risulti integrativo del concetto e della nozione di molestia essendo questa e la conseguente tutela accordata, fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto, con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa”.

A favorire la decisione della Corte Suprema è stata una vicenda del quotidiano vivere, ove un lavoratore, aveva assunto dei comportamenti “inopportuni” di natura molesta a sfondo sessuale a danni di una giovane collega appena assunta sul posto di lavoro. Difatti, il lavoratore con allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale, comportamento definito dai giudici “indesiderato ed oggettivamente idoneo a ledere e violare la dignità personale della collega”, per questo motivo ritenuto sufficiente ad espletare il licenziamento per “giusta causa” a nulla rilevando la volontà dello stesso di natura “goliardica” e/o “scherzoso”.

 

Cosa s’intende per molestie a sfondo sessuale?

Il reato di “molestie” come disposto dalla previsione codicistica ex art. 660 c.p., palesa che: “quel reato commesso da chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per perulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”.

Nel codice delle pari opportunità (D.lgs 198/2006) esplica: “ogni comportamento di carattere sessuale o fondato sull’appartenenza di genere, che risulti indesiderato a una delle parti, e ne offende la sua dignità”.

Alla luce di tali definizioni, le molestie sessuali riguardano quei comportamenti a sfondo sessuale non desiderati da chi li subisce e idonei ad offendere la dignità della vittima. Un esempio sono quelle esplicazioni verbali quali “avance” non gradite o battute a sfondo sessuali degenerative ecc…

In questi casi cosa fare? In tali casi se la vittima di moleste sessuali quella di manifestare al molestatore in maniera chiara e decisa il proprio dissenso rispetto al suo comportamento poco decoroso, immediatamente chiedere “aiuto” in caso di dissenso all’esterno. Infatti, di recente Cgil, Cisl, Uil, e Confindustria hanno siglato un accordo sulle moleste e la violenza nei luoghi di lavoro, recependo un accordo firmato nel 2007 dalle parti sociali europee. Il rispetto reciproco e la dignità nei luoghi di lavoro sono elementi imprescindibili di tale testo al fine di aumentare la consapevolezza dei cittadini su tale argomento e di fornire un quadro di azioni concrete idonee a gestire ed arginare il fenomeno.

Le molestie sessuali oltre a ledere la dignità personale di chi la subisce, determinano conseguenze a volte di natura “irreversibile”, di stati d’animo e disagi psicologici tali da condizionare psicologicamente e negativamente la vita personale e professionale della vittima. Difatti, le moleste a sfondo sessuale oltre a poter essere valutate come causa di “licenziamento per giusta causa” possono dar luogo anche al risarcimento del danno.

A tal proposito una sentenza del Tribunale di Firenze del 2016 ha riconosciuto ad una vittima di abusi sessuali sul posto di lavoro, il risarcimento del danno biologico patito sua per il danno non patrimoniale da discriminazione. La vicenda, in tal caso, trae origine da una donna la quale aveva rassegnato le proprie dimissioni a seguito di molestie sessuali subite in ambito lavorativo ad opera del titolare dell’azienda per il quale la stessa lavorava. Nella fattispecie, veniva riconosciuto nei confronti del titolare responsabile l’art. 609 c.p. per i fatti denunciati dalla lavoratrice “… per le azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso mediante abuso di autorità derivante dalla posizione di padre della titolare della ditta all’interno della stessa, costringeva la ricorrente a subire atti sessuali mediante violenza”; il Giudice, a seguito degli accertamenti dei fatti ove riconosceva la responsabilità del titolare del lavoro, aveva riconosciuto, altresì la responsabilità della società per la natura discriminatoria della condotta tenuta dal titolare dell’azienda, l’art. 25 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” e ha condannato lo stesso al risarcimento del danno biologico e del danno non patrimoniale derivante da discriminazione (art. 38 del D.lgs 198/2006) nei confronti della vittima.

In questi casi, secondo gli Ermellini, il datore di lavoro deve rispondere in termini civilistici (oltre che di natura penale nel caso in cui sussistano i presupposti derivante dalle norme incriminatrici) per i danni cagionati dalla condotta penalmente illecita del dipendente e/o dallo stesso posta in essere. L’art. 2087 c.c. stabilisce che l’imprenditore sua tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Difatti, il datore di lavoro, che venuto a conoscenza di condotte integranti molestie sessuali ai danni delle proprie lavoratrici per mano dei altri dipendenti della propria impresa, ha un obbligo attivo d’intervento, al fine di predisporre le misure organizzative a presidio dei propri dipendenti oltre a tutte le misure di carattere disciplinare da adottare nei riguardi dell’autore del crimine, appunto il licenziamento per giusta causa. 

 

La materia in oggetto necessita di ulteriori approfondimenti per la quale bisogna esaminarli in relazione al singolo caso concreto. Per maggiori informazioni e/o pareri in merito alla questione consultate il sito www.avvocatoquartararo.eu

 

Francesca Paola Quartararo

Avvocato Francesca Paola Quartararo

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