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RUBRICA DELL’AVVOCATO DEL MARTEDI’_ DANNO TANATOLOGICO: RISARCIMENTO SINISTRI MORTALI.

 

Cosa è il danno tanatologico?

Il danno tanatologico o danno da perdita del bene vita  è il pregiudizio patito dalla vittima prima di morire, a causa delle lesioni fisiche derivanti da un’azione illecita compiuta da soggetti terzi. Si tratta di un danno non patrimoniale (ex art. 2059 c.c.).

A tal proposito la Corte di Cassazione ha ritenuto che, in deroga al generale principio secondo cui, nel nostro ordinamento giuridico, risarcibile è non già la lesione in sé di un interesse giuridicamente tutelato – classificabile quale “danno evento” – quanto, piuttosto il pregiudizio concretamente sofferto dalla vittima in conseguenza di detta lesione “danno conseguenza”, la perdita della vita costituirebbe danno risarcibile “ex sé” nella sua oggettività a favore della persona offesa (Cass. n. 1361/2014; Cass. 5056/2014).

Con l’espressione del danno tanatologico, si vuol rappresentare quell’evento costituito dalla morte di una persona, causata dall’altrui fatto illecito, allorquando il decesso sia contestuale all’azione dannosa nonché consecutivo ad essa. Tale danno definito anche danno “da perdita del bene vita”, consistente  nella lesione di un bene giuridicamente protetto e di rango costituzionale, la cui tutela si dispone a prescindere dalla materiale durata dell’infermità dell’individuo.

La Cassazione n. 20292/2012 ha affermato che: “da escludere la configurabilità del danno tanatologico (o da morte) qualora la morte coincida sostanzialmente con il momento della lesione”; difatti, i parametri normativi a cui fare riferimento, sono rinvenibili nel disposto dell’art. 2059 c.c. – quale danno non patrimoniale – .

Sulla questione della risarcibilità o meno del danno tanatologico, nel corso del tempo, ci sono state diverse e dissimili questioni giurisprudenziali che hanno portato ad esiti diversi:

  • Cassazione n. 13537/2014 secondo cui. “la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni”.

Per cui, attendendosi all’interpretazione letteraria offerta dai giudici di legittimità, la condizione che determina la risarcibilità del danno tanatologico è l’assunzione di consapevolezza da parte della vittima dell’imminenza della sua morte, il quale patisce un dolore che è ascrivibile alla categoria del danno non patrimoniale.

Di converso è invece un’ulteriore orientamento teso ad ammettere che:

  • Cassazione n.1361/2014 ammette che: “la perdita della vita va ristorata a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia anche in caso di morte – istantanea o immediata – senza che assumano pertanto rilievo né il presupposto della persistenza in vita per un apprezzabile lasso di tempo successivo al danno evento né il criterio dell’intensità della sofferenza subita dalla vittima per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabile sopraggiungere della propria fine”.

La dicotomia tra le due interpretazioni viene mediata da un’ulteriore posizione assunta dalla Suprema Corte (Cass.Sez.Unite n.1350/2015), con la quale si dispone che: “in assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo tra sinistro e la morte, la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento, neppure sotto il profilo del danno biologico, a favore del soggetto che è morto, essendo inconcepibile l’acquisizione in capo a lui di un diritto che deriva dal fatto stesso della morte; e dall’altra parte, in considerazione della natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolare  del risarcimento del danno civile, ai congiunti spetta in caso il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta”.

A questo punto, si pone legittima una domanda: Il risarcimento del danno tanatologico può essere preteso dagli eredi della vittima?

La Cassazione a sezioni Unite del 2015 ritiene che: “Nel caso di morte immediata o che segua entro un brevissimo lasso di tempo alle lesioni, si ritiene che non possa essere invocato un diritto al risarcimento del danno “iure hereditatis”.  Il risarcimento del danno da perdita della vita ha funzione compensativa e il relativo diritto è trasmissibile “iure hereditatis”, atteso che la non patrimonialità attribuita proprio del bene protetto (la vita) e non già del diritto al ristoro della lesione ad esso arrecata.

A tal proposito una recente sentenza n. 26727/2018 della Cassazione sezione terza civile, ha affermato che: “Si configura il danno tanatologico in capo alla vittima, la quale, essendo dotata di capacità giuridica, può trasmetterlo agli eredi”. La decisione dei giudici di legittimità nasce da una vicenda secondo la quale è stato accolto un ricorso del coniuge del de cuius, la quale aveva agiti un giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno tanatologico, derivato dal decesso del marito in conseguenza ad un sinistro stradale.

Dunque, risulta particolarmente complessa la questione del risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dal de cuius, dove negli ultimi anni si sono scontrati importanti orientamenti normativi dottrinali e giurisprudenziali, che hanno coinvolto la concezione stessa del diritto alla vita dell’individuo.

Importante però tener bene presente la circostanza secondo la quale, se il fatto non sia risarcibile di per sé la lesione del diritto alla vita, ciò non significa che non vi siano pregiudizi risarcibili in tale condizioni. Difatti, la stessa giurisprudenza in merito alla risarcibilità del danno tanatologico ha portato allo sviluppo di orientamenti favorevoli alla possibilità di ristorare la lesione del diritto alla salute, a certe condizioni nel momento precedente alla morte. Per cui ogni singolo caso, deve essere valutato attentamente di volta in volta.

In caso di incidenti con esito mortale può verificarsi contemporaneamente la lesione del vincolo parentale e la lesione alla salute psichica dei familiari della vittima?

La sentenza della Corte di Cassazione n. 9320/2015 ha evidenziato che la liquidazione del danno alla serenità familiare, cioè il dolore per il lutto che consegue alla perdita, rispetto al danno alla salute psicofisica dei prossimi congiunti non è contraria al principio di omnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale. La sentenza evidenzia che il Giudice deve liquidare separatamente di due pregiudizi, poiché il dolore a cui vanno incontro i familiari di chi è ha perso la vita in un incidente è cosa diversa dal danno alla salute psichica che gli stessi familiari possono aver subito nel caso in cui non siano riusciti ad rassegnarsi alla perdita e ciò si sia tradotto in una vera e propria patologia.

Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale è risarcibile anche in assenza di convivenza?

Secondo una giurisprudenza minoritaria la sentenza n. 17/06/2014 del Tribunale di Rimini riconosce anche ai congiunti della vittima di un incidente stradale non conviventi con la stessa, il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

Quali sono i danni trasmissibili iure successionis?

Per i danni trasmissibili agli eredi iure successonis occorre distinguere due diverse circostanze:

  • Quella in cui il sinistro e il decesso è decorso un sensibile arco temporale:
  • Quella in cui l’evento morte ha seguito immediatamente l’incidente.

Nel primo caso, la vittima subisce danni tali da incidere direttamente sulla sua sfera giuridica e, come tali trasmissibili iure successionis ai suoi eredi.

Nel secondo caso, invece, la lesione all’integrità fisica dalla quale sia derivato il decesso non può configurarsi danno biologico ma incide sul diverso bene giuridico della vita e non può tradursi nell’acquisto nel patrimonio della vittima di un contestuale diritto al risarcimento del danno trasmissibile agli eredi (Cass. n. 3549/2005).

Il ristoro del danno da perdita parentale va operato sulla base dei criteri pratici al momento della liquidazione?

Secondo la sentenza della Cassazione Civile n. 5103/2017 i criteri che regolano ratione temporis il ristoro del danno da perdita parentale involgono la liquidazione per equivale del danno non patrimoniale e il sistema di tabelle elaborato da alcuni Tribunali, primo fra tutti il Tribunale di Milano. Il danno da lesione del rapporto parentale, è evidente come la sua liquidazione  sia imprescindibilmente rimessa ad una valutazione equitativa del Giudice, i cui criteri non possono che essere rimessi alla sua prudente discrezionalità. Discrezionalità, per l’appunto, e non arbitrio: detti criteri, infatti, oltre a dover essere adeguatamente espressi e motivati nella sentenza e a dover evitare duplicazioni risarcitorie, devono necessariamente consentire la “personalizzazione del danno”, ossia “una liquidazione adeguata e proporzionata che, muovendo da una uniformità pecuniaria di base, riesca ad essere adeguata all’effettiva incidenza della menomazione subita dal danneggiato nel caso concreto”. Si dovrà quindi tenere necessariamente conto per esempio della gravità del fatto, dell’entità del dolore patito, delle condizioni soggettive della persona, del turbamento dello stato d’animo, dell’età della vittima e dei congiunti all’epoca del fatto, del grado di sensibilità dei danneggiati superstiti, della situazione di convivenza o meno con il deceduto (Cass., 15 ottobre 2015 n.20895).

La materia in oggetto necessita di ulteriori approfondimenti per la quale bisogna esaminarli in relazione al singolo caso concreto. Per maggiori informazioni e/o pareri in merito alla questione consultate il sito www.avvocatoquartararo.eu

 

Francesca Paola Quartararo

Avvocato Francesca Paola Quartararo

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